Pietre per parlare – Modena, 24 marzo 2019

Le pietre per parlare sono una installazione scultorea nello spazio urbano, vissuto e da vivere, in cui le persone possono sostare, sedersi, riposarsi, incontrarsi, scambiare parole. L’installazione ha una forma circolare che rappresenta l’emisfero terrestre segnato dai quattro punti cardinali corrispondenti ai passaggi per entrare nella parte centrale calpestabile segnata da terre e oceani, da immagini parole riferimenti memoriali, mentre i quattro segmenti “costruiti” sono corpi in pietra considerabili come sedute, basi, piani di appoggio, su cui i “viaggiatori” di ogni parte del mondo possono posizionare le valigie che si portano dietro. Queste valigie, realizzate su pietre dal mondo, raccontano le nostre storie, quelle di chi ha lasciato e lascia la sua terra per cercare lavoro o scappa da un luogo, da una guerra, da una catastrofe e così via, scegliendo velocemente le poche cose da portare con sé, decidendo cosa salvare e cosa abbandonare della propria esistenza.

Il viaggio è un’esperienza che accomuna l’umanità intera, fin dalle sue origini. Nello spostarsi, ciascuno porta con sé la memoria di una vita passata, impressa sulla propria pelle come un tatuaggio, o custodita in una valigia. Queste valigie di pietra sono scrigni di ricordi preziosi, sono le radici che non vogliamo abbandonare quando ci mettiamo in viaggio per cambiare il nostro destino; raccontano le nostre storie, quelle di chi ha lasciato e continua a lasciare la propria terra per cercare lavoro, come tanti italiani di ieri e di oggi, o per scappare da fame, guerre, persecuzioni che affliggono i popoli in tutto il mondo.
Alla realizzazione di quest’opera hanno partecipato 17 artisti di diverse nazionalità, rendendo questa installazione ricca di suggestioni e modalità espressive. Le culture dei popoli si incontrano e dialogano tra loro, come un mosaico che ricompone la nostra storia in relazione a quella degli altri e riconsegna un’immagine più completa della nostra vita.

1 / ACHIM RIPPERGER
Germania

La mia pietra racconta la storia della libertà di tutti i popoli, esprime il desiderio che non ci siano più confini. Come simbolo ho scelto un momento storico epocale che ho vissuto in prima persona, la riunificazione della Germania. Attraverso una rivoluzione pacifica, le persone sono riuscite a far crollare il muro che per 30 anni ha diviso la Germania. Se abbattiamo i muri, se siamo accoglienti verso gli altri, allora riusciremo a distruggere le differenze che ci dividono, costruendo finalmente un’umanità pacifica.

2 / HALYNA HEVKO
Ucraina

Pysanka è un simbolo dell’Ucraina, pysanka ti protegge dal male. I nostri emigrati, abbandonando il proprio paese, prendevano questo oggetto santo sacro come protezione dalla malasorte, come una speranza di vita migliore, come una forza di spirito, come pezzo della terra natale che ti accompagnerà e ti consolerà durante la permanenza nei paesi stranieri. Provo invidia nei confronti degli uccelli migratori, perché nel loro viaggio stanno tra l’eternità dei cieli e l’immensità dei campi.

3, 8, 18 / ANDREA CAPUCCI
Italia, Modena

Di tutte le opere immaginate, quella più significativa per me è sicuramente l’immagine del piccolo Aylan, trovato senza vita sulla costa turca. Questa immagine, forte e dura da guardare, ci obbliga a ricordare uomini donne bambini morti a migliaia nel Mare Nostrum nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa. I loro sogni infranti e risucchiati dall’acqua rimangono impressi come ferite sulla pelle di queste pietre.

4 / MATTIA SCAPPINI
Italia

Sedimentaria, metamorfica e poi mobile: Even stones move. La genesi di questo lavoro viene dalla considerazione che tutto è in movimento: materiali, persone e pensieri. Parlando di struttura, anche nella mia ricerca piani, figure e soggetti sono ridotti all’essenza nel tentativo di definire la “casa” dell’uomo contemporaneo.

5, 10 / GIONATA ORSINI
Italia, Fanano

Mi hanno sempre interessato le  forme  delle case di Timbuctù. Lavorare su questa architettura con l’utilizzo della nostra pietra di montagna mi è sembrato molto naturale, anche perché questa forma si presta al mio modo di interpretare la scultura. Aderire al progetto corale delle pietre per parlare è stato importante, incontrare le idee e le opere degli altri artisti mi ha stimolato.

6, 15, 20 / MATTEO BOLDRINI
Italia

Il pensiero che mi ha accompagnato durante la realizzazione delle sculture è basato sulla fragilità dell’uomo e delle sue speranze nell’affrontare un viaggio carico di aspettative e di fiducia verso un’esistenza migliore, ma che si scontra con la dura realtà della vita, proprio come la pietra: in apparenza forte, dura e resistente, cela in realtà crepe e fragilità al suo interno. Proprio per questo ho deciso di far risaltare fratture e venature nei bauli, carichi di fragili speranze.

ARTURO BOLDRINI
Italia

Pietra… custode silenzioso del nostro passato, conserva dentro di sè le linee guida del nostro futuro.

7 / GIUSEPPE COLANGELO
Italia

Sono nato in Svizzera, sono figlio di genitori emigrati all’estero negli anni ‘60. Per questo la valigia descrive il mio passato, mi ha riportato in questi lunghissimi viaggi sui treni stracolmi di uomini, donne, bambini con i cartoni e le valigie con lo spago. Il nostro treno era la “Freccia del sud, ricordo ancora gli annunci dei ritardi al megafono. Ero ancora bambino, non vedevo l’ora di ritornare in Abruzzo. Anche per questa ragione ho voluto realizzare l’opera con la nostra pietra della Majella. Personalmente dedico questa scultura ai miei genitori.

9 / BARBARA GIORGIS
Italia

11 / JOACHIM SILUE
Costa d’Avorio

Un Sogno Senza Ritorno. Parlo di un viaggio fatto di speranza per dare una svolta alla vita, ma che finisce, come spesso sappiamo, in esasperata agonia. In fondo sono solo dei neri. Che sia il fondale del mediterraneo, i lager libici o quelli meno identificati dei loro paesi ma comunque invisibili per gli occhi degli occidentali. Ma chi vuoi che si scandalizzi. Tanto non sono uomini con diritti.

12 / MOHCINE ELMOUNTAJ
Marocco

13 / DONATO LINZALATA
Italia, Matera

14 / LAURENT REYNES
Francia

Questo volto drammatico esprime le lacerazioni e la miseria di cui è vittima una moltitudine di genti. Il Peso del mondo porta il sottotitolo di Rwanda, Afghanistan, Colombia, Irak, Palestina, Darfour, Tibet, Venezuela, Paraguay, Haiti, Zaire e tante altre di cui non si conoscono i nomi. È il mio modo di prendere posizione e esprimere il mio profondo smarrimento davanti alla bestialità umana, alla miseria degli uomini. Il Peso del mondo è una maniera di rendere conto degli orrori e delle atrocità del nostro pianeta.

16 / MARCELLA BARROS
Argentina

Partire e intanto trattenere il respiro, tenere le valigie vicine, per non perdere nulla, per mantenere quel filo che segna un viaggio immaginario a ritroso, che lega e restituisce sicurezza. Le tracce del nostro passare s’intrecciano ai ricordi, in un sovrapporsi infinito di segni di cui, il mio segno, altro non è che un motivo di passaggio, per ricordare quella prima impronta, che resterà per sempre nella vita di chi il viaggio l’ha vissuto come un cambio di vita.

17 / ANGELO CARBONE
Italia, Matera

Ho sempre lavorato il tufo, una pietra che mi piace per la sua facilità. Questa iniziativa interculturale è fenomenale, ho partecipato con entusiasmo a questo confronto tra artisti. Il tema dell’immigrazione ce lo portiamo dietro da qualche secolo, siamo stati emigrati e oggi viviamo l’immigrazione. Noi artisti vogliamo dare una mano con il nostro linguaggio espressivo. Oggi vediamo queste persone che vengono qui da noi per cercare una nuova vita, affrontano un viaggio pericoloso; se rischiano la morte per approdare sulle nostre coste ci sarà una ragione che dobbiamo capire, dal lato umano. Avendo io una formazione cristiana, questa opera vuole dare un piccolo contributo al dialogo.

19 / FRANCO DI PEDE
Italia, Matera

Vivo e abito a Matera in una casa di tufo, sono circondato da questa pietra tutti i giorni, mi viene facile lavorarla. Mi capita spesso di passeggiare per i camminamenti del mio giardino e di osservare le diverse venature della pietra. In questo caso si tratta di un tufo invecchiato e originale. Quando l’opera nasce dalla terra, la creatività più antica si esprime e si libera. Mio padre è emigrato in America; quando è tornato in Italia negli anni ‘40 ha comprato delle cave di tufo, per poi esportarlo attraverso la piccola ferrovia. Il tema della migrazione è nel mio Dna.

21 / DARIO CARMENTANO
Italia, Matera

Dulcis in fundo. Ecco il cielo, è lo stesso cielo da cui siamo partiti, guardo l’orizzonte, è un cerchio che ondeggia. Imperscrutabile la direzione, l’approdo. Nessuno della mia famiglia ha distolto i piedi dalla nostra terra, io come Gesù dovrò camminare sull’acqua, e toccare una nuova terra. Sono due giorni che camminiamo sul mare, ci siamo fermati, siamo troppi, troppo stretti gli uni agli altri, troppo pesanti, come grossi massi. Buttiamo via ogni peso: i nostri cuori, i nostri affetti, il nostro amore, i nostri ricordi, la nostra dignità, ogni nostro avere. Il nostro peso è ancora troppo perché non riusciamo a liberarci della speranza: è tanta. Il mare ci abbraccia, forte, non ci lascia andare, i nostri ultimi respiri restano nel vento.

A cura di Andrea Capucci

In collaborazione con Marcela Barros,  Giuseppe Colangelo, Halyna Hevko, Arturo Boldrini, Michele D’Ambrosio, Donato Linzalata, Matteo Boldrini, Franco Di Pede, Gionata Orsini, Angelo Carbone        Mohcine Elmountaj, Laurent Reynès, Dario Carmentano, Barbara Giorgis, Achim Ripperger, Mattia Scappini, Joachim Silue

Promossa da Associazione Urban Stone Sculpture Park di Fanano, con la collaborazione di Daniele Sargenti, Giovanni Capucci, Roberto Leoni, Elia Sargenti. Un grazie a tutti gli artisti e agli artigiani che hanno contribuito con passione alla realizzazione del complesso scultoreo. Il progetto, che ha visto il coinvolgimento di quattro scultori lucani, si inserisce nell’ambito del percorso Città Resilienti. Dialoghi filosofici tra Modena e Matera

Con la partecipazione di Laboratorio Litos, Laboratorio Arte&Ferro, Marmi Passini Fanano, Marmi Bettini Sestola, Lucio Baruffi, Impresa Biolchini Sestola

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